Questo libretto è storico ormai e viene da una preistoria della mia scrittura. Una raccolta annunciata e mai presentata per fatti diversi. Nasce da un’esigenza, la prima, di venire alla luce come appassionato praticante di poesia, grazie anche allo stimolo di persone care con le quali l’ho condivisa e che ringrazio. Un farsi spazio nei meccanismi della pubblicazione, inquieto e determinato insieme, con l’assillo della inadeguatezza e il desiderio di dire.
Senza disporre di un titolo – ciò per cui si può valutare il contenuto di uno scritto, in questo caso – m’imbarco su un foglio liscio, ignaro di quel che ne verrà.
Vado a tasto, cerco un appiglio.
E’ un tempo di apparente calma – superficie larga e schiacciata in cui raccolgo i fatti della quotidianità tenuti in caldo, ma raffreddabili per forza prima o poi – e con tutto quello che prende per le caviglie, le mani o per il collo con in su la testa, sembra non esserci modo di prezzare il mondo, svalutandolo a pressione non voluta o nemico da cui guardarsi.
Non piangere o ridere quindi? Magari incupirsi o sorridere, perdendo un livello più alto e altro che crei un’empatia migliore.
Il possibile s’ingegna poco nella spinta che affratella. E questo è il punto: non sentire di appartenere al gruppo familiare in senso largo e stare da soli quel tanto che basta per non sopportare e non escludere.
Non proprio come la comparsa in strada – che dove inizia non si sa – di un camminatore stanco e impolverato che si avvicina e va oltre un punto di vista, una posizione ferma. Qui, l’arguzia e il fatto noto, o il detto prima, sembrano avere carattere sconosciuto e soprattutto non sanno dove andranno a pararsi. Come in tutte le premesse quindi alludo e lascio correre.
Dove la costituzione del corpo, l’abito o l’inclinazione, non lasciano molte possibilità di scelta apparente, tra quelle che non mi sono congeniali, quasi un vizio d’organismo che approssima e non finisce, un vezzo semplice.
Un territorio senza traccia, a guardare dietro, privo di agitazione che non agisce eppure svela qualche tratto di sussulto cardiaco o moto di stomaco quando vengono alla mente un fatto, una persona, o più d’una. Ultima serie, ieri notte, ma non dirò ché a farlo non aiuta il gorgo a salire.
Altra proposizione è la mancaza d’ardire sotto forma, per esempio, di un colloquio a poche frasi, un porsi fuori che disperde, o l’attitudine alla risposta breve, sicura che non piace, ma vorrebbe. Quasi un dovere umanitario che calma l’ego e forse il destinatario.