in quarta

Dan Voinea
Dan Voinea

 

quella mattina, che poi è questa,

la punta di diamante non passò il solco,

singulti di un dopo risucchiato

 

strida inascoltabili,

parole propaganda di sè

impietoso e sudato e baro,

osceno bisogno di essere al comando

sulle stature degli altri

 

in una stazione appunto

senza aggiornamenti di destinazione,

lo spazio dato toglie la voce

ed è sacrificio inutile

 

e perciò scendo

 

 

aver titolo e no

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di piani uno da portare in fine, ascenderne cinque fermandosi al terzo, ma altri sono quelli in mente

durante un lasso il tempo ebbe a dire che la fretta non considera i dettagli e una corsa si sdraiò

non che capire aiuti sempre le distanze e il vicino è un soggetto in cerca di segni

i pesci al mercato coperti di ghiaccio offrono l’inganno negli occhi e ti fai tressette a mano libera per una puntata di sorte

tuttavia un libro preso a debito incassa monetine di energia ruotante, sufi che mastica appena

parlar chiaro e non s’arriva al punto,

tanto val la gatta e il lardo

 

 

emulo

Antonio Donghi
Antonio Donghi

 

La figura ingombra uno sfondo perso

diluito, compromesso

e attende di sapere cosa darà

alla propria fame,

ché d’abitudine si generano storie

con rovescio di significato,

allusive non per necessità,

cifre moderne fuori da convenzione.

 

Il tratto è dato

e presterei le braccia ad un’alzaia

per una chiatta qualunque

su per il fiume che scende,

tra fiori blu e quelli del male,

da tempo non colti.

 

Non farsi trovare a prima vista

carichi di storia,

sempre biografia aggiornata,

per la curiosità del passante

che abusa,

e prendere strade lontane

nelle quali perdere ciò che si sa,

o s’è saputo

 

per un respiro lento al sole.

 

nessun nome

Andrea Mantegna - particolare
Andrea Mantegna

 

ti scriverei quattrocento righe

e poche bastano per stima di sintesi

quando si è riccio che attraversa la strada

te ne dico quattro

 

 

poi le parole misero conto

e il silenzio si vide bene

e il senso si propone

peperone verde ribaltato in forno

 

sostengo pereira e non mi pesa

nome che viene e non rimane

degni d’un labirinto che ricordo

cari suoni d’alfabeto corto

 

valse la pena non sentirsi saggi

temo sia tardi darli tutti

i cordiali saluti fermi

 

 

le ragioni

 

David Dunlop
David Dunlop

 

possono fondarsi su terreni incolti

e pure quelli tenuti a giardino le ospitano

con la faccia che s’increspa al vento del mi devi credere

credimi se credi se ti pare se ti piace se vuoi

poi se ne vanno girando il culo a parcheggiarsi

per le prossime uscite

 

degne oscure ammissibili all’esposizione

inaccettabili a pensarci

sicuramente tanto altro

ancora

 

mi chiedo come, per dire,

gruppi in movimento affidino gli occhi

a certe insegne luminose da premiata ditta

sulla base bassa di una carica rappresentativa

senza sapere e magari che il retrobottega

nasconde istinti da sfogare non inclusi nel pacco

a più di un costo sconfitto

 

insomma si chiedono diritti in associazione

si conferisce sui modi per ottenere riscatto

si annunciano programmi

si sfila in fila locale

si mettono bene quattro parole in croce

e poi si violenta il corpo di passaggio

 

buon pranzo, se avrete fame

 

 

il nome di tutti

Egidio Marullo
Egidio Marullo

 

appena sarà finito tutto lo dirò

intanto dovete sapere che le storie

sono vere nell’altrove e dovunque qui

 

di quella donna in bicicletta

a dare precedenza che non c’è

ferma dalla macchina in retro marcia

almeno  la lunghezza di due barche

 

di quell’altra che cammina passo lento

e a sera torna gambe gonfie

in una casa del comune

figli lontani una notte,

sola

 

o di quei compagni di lavoro

con fare familiare battute e lingua

senza lezzo sagaci e ironici per vanto

 

ma di sequele non farò ventaglio

i nomi li conosco a occhi chiusi

gli alibi li scrivo e poi li tolgo

perché difendersi ci incolperà

 

alla discarica

Giuseppe De Nittis
Giuseppe De Nittis

 

non è che quando ti viene lasci ovunque,

per questo ci sono luoghi che l’amore conosce come speciali,

quelli che tengono i non mi piace scaduti e i non mi serve quindi,

luoghi dove le virgole puoi non metterle e dove, anche senza fame, puoi mangiarti qualche parola parola

 

e se te lo concedessi invece sappi che sarebbe vano reclamar clemenza

ché la pena segue il fatto, visto che questo s’è formato in fretta

e che la furia, o la vergogna piena più non sanno che faccia fare

 

te ne andavi una mattina e non tornavi che a notte fonda

con una manciata d’acqua che di sé portava l’umore

il niente da ospitare, il tanto sospettoso del restare

 

difficile è vivere di rifugi dove gli affetti mutano in grandezze,

onde che sparigliano andature, rami secchi tagliati in collo,

serbare teste che più non sono

 

e d’ogni passo lasciar le scarpe

 

 

 

 

gauche caviar

Maxwell Doig
Maxwell Doig

 

ci si scarmana togliendola da sotto la pila

la mano che si sovrappone battendo forte le altre

nel gioco del dire che gli altri sò quello che sò

peggio del meglio che io

 

e che impeto a difesa di un principio

fedeli ancora alle linee

astratti punti in sequenza lunga

scordando larghezze di prato

 

ai lati si è lontani dal mezzo

il circolo dista uguale dal punto

e come lo giri sta

 

te ne andavi una mattina quando ti si ruppe il mezzo, commosso al centro guardasti e passò il rude buono, il ma anche, il dovunque e l’ora e sempre, l’ape nana che inquina, il magma che ammala, la mano che stira quella che tira, il boia che balla, il re con la gonna, i lasciapassare e pensasti che fare

quel che conta non era pensare, stare in ammollo, tornare

i piedi toccavano asfalti schiariti, lì dove passarono altri smezzati prima delle patenti e del bitume di giudea nero di pece

vedesti e anche ora lo fai spine dorsali tremolii e rossori e tutta la fatica di essere

confondere

ché tutti cadremo dalla stessa barca

con o senza cashmere, zecche e kameraden, destre sociali e radicali mancini, bigiotterie politiche e vere trans partito, guance gonfie di ipse dixit che mai sputano, speranzosi responsabili dell’illusione necessaria o utili voti a seconda, non allineati squadrati, quadri e cornici, cimici e talco

signore e signori, buonasera

 

 

 

casomai

Daniela Astone
Daniela Astone

 

ali ai piedi ed entra nelle case d’inverno

dove cucina vuol dire salotto, museo dell’essere,

guance rosse da camino e luci sparate

 

poi verdure rosse e verdi in cottura differita

quindi un dono alimentare per la sera,

ci si passa così il pensiero

come una sciarpa di raso in tasca

o una bici elementare al varo

chiavi perdute chissà dove,

prestate

 

non osare se non credi alle vertigini

fermati quando stai per toccare

e lasciati accadere,

non voluto