
REVERSIBILITA’
Abele Longo
Edizioni ATd’O – Neobar, 2012
GECO
Sei me che vedi
prima di spegnere la luce.
A me che hai lanciato scarpe
ti raccomanderai l’anima
nel momento del trapasso.
SENZA SEGUITO
Uscì sola senza seguito
bianco niveo nella notte
riflessa nell’occhio vitreo
dell’uccello della morte.
Lo sposo in chiesa stringeva
le palline del rosario.
Aspettava la falena
sotto al lume del calvario.
L’ANGELO DEL GEL
Se solo il pennuto avesse intuito,
mentre toglievi lacrime pungenti
e rinsecchite dalle ciglia finte,
la tua volubilità, quell’estetica
forgiata dalle suore, l’abbandono
concitato nell’atto del dolore,
si sarebbe fatto un mezzo bicchiere.
Eccolo invece etere che singhiozza
dopo aver assistito al tuo sconcerto,
al ribrezzo di vederti di fronte
alucce rade ed ispide di gel.
CUPIDO E L’ARPIONE
Non si può fare a meno dell’amore,
oltrepassa l’impaccio dei silenzi,
gli atti di sconforto.
Mi chiedo però come può succedere
che a un certo momento uno dei due
dice non ti amo più,
e prego per quelli che si innamorano
alla nostra età e si pisciano addosso
perdono peso e trovano le ali,
prima che come in sogno si risveglino
con una testa enorme spelacchiata,
che se non è l’arpia è il suo maschio.
DOMANDE
Non sapeva il vecchio
quanto è triste un bambino
che non fa domande
e infastidito rispondeva
con un grugnito.
Cosa chiedeva il bambino? Non ricordo,
so solo che se ne stava zitto per ore
mentre gli altri giocavano a pallone.
AI TEMPI DELLE BOTTEGHE
Ai tempi delle botteghe l’amore
contava i rintocchi del ciabattino
prima che la notte lo sorprendesse
con i chiodi ancora tra le gengive
scaldavano il latte le donne a uomini
svezzati in città lontane svegliati
da una luna storta che il vino pessimo
delle bettole riportava a galla
sapevano che sarebbero a loro
sopravvissute con un colorito
roseo e la letizia delle clarisse
a quella malafede naturale
che torpida macera per questioni
di confine il cuore in un vuoto a perdere
QUANDO MUORE QUALCUNO
Quando muore qualcuno
c’è sempre tanta strada da fare
un sole pallido sulle lamiere
il traffico assordante che accompagna
i motti di spirito di qualcuno
che conosceva bene la buonanima
Fino a quando la macchina non imbocca
una stradina di campagna
e le ombre dei salici si stagliano
contro una luce cinerina
che tutto attutisce e spande uniforme
ME STESSO
E nel buio troverò
me stesso curvo in avanti
su di una bicicletta senza luci,
con stormo d’anatre che si allontana.
LE DONNE DI HOPPER
Le donne di Hopper sono sempre una
e il vento con le tende sfiora,
sembianze palpabili di un’essenza
che profuma di luce la stanza vuota.
TANATOPRASSI
Mia cognata lavora in polizia.
Di turno la vigilia di Natale,
ha tirato fuori da una vasca,
i liquidi biologici sparsi nell’acqua,
una donna dell’età di sua madre.
Seguendo la prassi, ha contattato la figlia,
che come lei ha due bambine.
Contravvenendo alla prassi,
ha poi lavato la vasca.
Il geco che tiene testa all’uomo che lo vuole fuori dalla stanza.
La sposa sola, senza seguito, col suo bianco nella notte.
Quell’estetica forgiata dalle suore che fa singhiozzare l’angelo (del gel).
L’amore che oltrepassa l’impaccio dei silenzi eppure lascia soli tra i rumori dell’irreversibile.
La tristezza di un bambino che non fa domande.
Il ciabattino con i chiodi tra le gengive e il latte scaldato dalle donne ai loro uomini svezzati in città lontane.
Il sopravvivere delle stesse donne ai loro uomini, con il chiarore delle clarisse sulla pelle.
Le questioni di confine.
Quando poi muore qualcuno e la macchina imbocca una stradina di campagna.
Trovarsi nel buio, su una bicicletta senza luci.
Le donne di Hopper che sono una sola.
La cognata poliziotta che, dopo aver seguito la procedura nel rilevare una donna morta, lava la vasca nella quale giaceva la defunta.
Queste immagini mi hanno rapito nella lettura di Reversibilità di Abele Longo, come succede quando le parole mettono in scena storie e fatti, sogni e nude realtà che vivi, o rivivi, senza la complessità del comunicare e con la levità degli schizzi d’acquerello nel dare un segno alle cose di una vita.
Non so quanto il rapimento di questa poesia sia dovuto ad una vicinanza di dinamiche che sono parte del mio sottosuolo, certamente è prova della sua bellezza, della sua efficacia evocativa e del suo illuminare forte le zone scure della mia quiete.
Caro Vincenzo, il senso stesso della poesia è in quella capacita’ di evocare immagini (sogni bisogni paure) di noi tutti. Alcuni poeti ci sono inevitabilmente più vicini di altri, toccano corde più nostre. E questo l’ho sentito fin da subito nei tuoi confronti. Quel “sottosuolo”, come lo chiami tu (e penso a Bodini, alla congiuntivite degli arcieri nelle grotte), ne è senz’altro una delle ragioni principali. Immagino poi che ci sia in comune l’essere andati via e un rapporto inevitabilmente contraddittorio con ciò che ci siamo lasciati dietro e che torniamo a vivere senza scampo e con un certo disincanto.
grazie,
abele
Approvo, caro Abele, la tua riflessione.
Firmato: un arciere con la congiuntivite che legge Bodini nella grotta.
Mi pare di aver attraversato una galleria di quadri animati, dei miei preferiti!
grazie, Pierpaolo 🙂
Sicuramente, quella di Abele Longo è una poesia che scuote dal torpore suscitando brividi e squarciando veli. Mi piacciono le immagini di “Reversibilità” che Vincenzo Errico ha voluto commentare quasi ad aprire varchi nelle parole.
Un caro saluto,
Rosaria
Grazie, Rosaria!
a parte tutte incisive e/o significative, “le donne di hopper”, mistero nell’enigma…